
Le ombre della Luna
La notte insegna senza alzare la voce.
Quando la Luna si assottiglia, la stanza respira più lenta e qualcosa in noi si siede accanto al silenzio.
Sotto il chiarore lattiginoso, le paure non urlano: tessono.
Fanno e disfano come maree.
È qui che l’ombra comincia a parlare, non per spaventarci, ma per restituirci ciò che abbiamo lasciato alle spalle.
L’ascolto è un’arte semplice: un bicchiere d’acqua, un respiro profondo, una domanda chiara. E la Luna antica, maestra di soglie, risponde con immagini, memorie, intuizioni che luccicano come fili sottili.
La falce che taglia il velo
Ogni fase della Luna custodisce un archetipo: la falce crescente sussurra nascita, la piena
canta rivelazione, la calante invita a lasciare, il novilunio apre il varco.
Nel lato in ombra
vivono figure antiche: la Tessitrice che unisce e disfa, la Custode del Pozzo che veglia
sull’acqua della memoria, la Viandante che non teme i bivii.
Quando l’ombra si avvicina, non pretende risposte: chiede verità.
Basterà poggiare la mano sul petto e domandare a voce bassa: “Cosa sto trattenendo oltre il necessario?” La risposta non arriva come tuono. È più simile al suono del filo che scivola tra le dita.
Acqua nera della memoria
L’inconscio è acqua notturna: tutto ciò che cade in fondo continua a brillare, anche se non lo vediamo. I
miti ce lo ricordano da sempre: Selene che guarda gli amanti addormentati, Ecate
che cammina alle croci di strade portando chiavi.
Lavorare con l’ombra non significa rovistare nel buio, ma imparare a stare sulla riva.
Una ciotola d’acqua, una briciola di sale, il fiato che sfiora la superficie. Il riflesso si increspa, lo sguardo si fa onesto.
È in quell’istante che una paura prende nome, che un desiderio smette di vergognarsi della propria luce.
Il filo e il nodo
L’ombra si manifesta spesso come nodo: una frase che non riusciamo a dire, un confine che non reggiamo, un “sì” detto al posto di un “no”.
Il lavoro è di pazienza e presenza.
Di sera, spegni le luci superflue, accendi un lume, prendi un filo o spago, lana, poco importa.
Mentre lo avvolgi al polso, sussurra la scena che ti stringe il respiro.
Senza giudizio, solo precisione.
Quando senti che l’immagine è completa, sciogli il filo lentamente.
Non è un trucco: è un gesto che insegna al corpo che sciogliere è possibile.
Le mani ricordano più in fretta della mente.
Il ritmo delle maree
La Luna muove le acque e le emozioni seguono.
C’è una pedagogia nel suo andare e venire: non tutto va fatto alla piena, non tutto va iniziato al novilunio. Nelle notti calanti, l’ombra preferisce il sussurro: appoggia i pensieri su carta, piegala in quattro e portala alla soglia della finestra.
Soffia una volta, come a consegnarla al vento.
Nelle notti crescenti, invece, l’ombra chiede fiducia: un seme di erba aromatica nella terra, una goccia d’acqua al mattino, una parola nuova che impara a stare in bocca senza tremare.
L’arte è saper cambiare passo senza perdere il proprio.
La soglia dello specchio
Gli specchi sono porte discrete, vanno trattati con riguardo.
La Luna ama i margini, soglie, scale, crocevia, perché lì la realtà si fa docile.
Quando un’emozione è troppo tagliente, posiziona lo specchio di taglio, non frontale. Lascia che rifletta la stanza solo per metà. Parlagli di lato, come si fa con i segreti.
Nel sorriso obliquo dello specchio, l’ombra si addolcisce: non perché mente, ma perché smette di difendersi.
A volte basta questo per accorgersi che la paura era solo un confine non nominato.
Sale, fumo e parola
Il corpo ascolta attraverso i gesti. Un pizzico di sale sul palmo, il pollice che lo sfrega finché
diventa caldo: il sale ricorda il mare, porta via l’eccesso.
Un filo di fumo di alloro, rosmarino, artemisia che sale diritto: il fumo insegna a salire senza bruciare.
E poi la parola, breve e pulita, detta una volta sola. “Tengo ciò che nutre, lascio ciò che pesa.”
Non servono formule antiche se la voce è integra.
La Luna non chiede teatro: chiede coerenza.
Esempio: la paura del passo avanti
Capita di amare una cosa e temerne il prezzo: un progetto, un affetto, una scelta.
La paura arriva come una corrente fredda alle caviglie.
Quella sera, la Luna era in calante.
Ho steso un panno scuro sul tavolo, messo un bicchiere d’acqua e una candela bassa.
Ho scritto su un foglio la frase che non riuscivo a dire.
Poi l’ho letta, piano, finché la voce non ha smesso di tremare.
Ho spento la candela con le dita inumidite, come a ricordare al fuoco che siamo
alleate.
Il giorno dopo, non ero coraggiosa: ero vera.
E il passo avanti, piccolo, è venuto da sé.
Le ombre della Luna non sono nemiche: sono alfabeti dimenticati.
Impariamo una lettera per volta, con gesti piccoli e fedeli.
Quando la notte si fa più blu e l’oro delle fiamme accarezza le pareti, possiamo porre una domanda e restare.
I Tarocchi, se lo desideriamo, possono sedersi accanto come bussola gentile: una carta pescata in silenzio, un’immagine che apre una stanza.
Non per decidere al posto nostro, ma per darci una direzione.
E una carta sa sempre dove inizia il nodo.


